Dici pasta, in questo caso si tratta di triangoli ripieni, e il pensiero corre alla cucina di casa che, nel tempo, ha fornito il contributo più significativo alla nascita di un grande patrimonio nazionale.
La cucina italiana è l’arte culinaria che prende forma nel corso dei secoli e si basa su modelli alimentari comuni ma anche sull’insieme delle diverse tradizioni regionali e locali.
Dallo scambio continuo tra territori e tra cucina alta, la tavola dei signori, e bassa, quella dei contadini e degli strati sociali più poveri, nasce un sistema gastronomico condiviso.
La storia della cucina italiana è un percorso evolutivo che inizia sotto l’influenza prima dei Greci e poi degli Arabi. Ma sono i Romani a imprimere quell’aspetto conviviale che è una delle sue caratteristiche.
Anche l’Europa ha un ruolo importante in questo processo. Le diverse civiltà europee si influenzano reciprocamente creando un contesto di storia culturale e gastronomica europea che tanta influenza avrà anche nel Nuovo Mondo.
All’inizio lo scambio avviene attraverso guerre di conquista e commerci, in seguito si appoggia sui fenomeni migratori che trasportano le cucine di mamme e nonne italiane ovunque nel mondo.
I nostri emigranti sono stati grandi ambasciatori della cultura gastronomica del Bel Paese, imprimendo la spinta necessaria a trasformare la cucina italiana in un elemento fondante dell’identità nazionale.
La candidatura della cucina italiana a Patrimonio immateriale Unesco
È un’arte che nel corso dei secoli si è intrecciata alla storia del Paese, è uno specchio della sua geografia e biodiversità, racconta stili e abitudini delle diverse classi sociali.
Per queste ragioni si configura come patrimonio fisico e culturale, di saperi e sapori e, non ultimo, di bellezza.
A trent’anni dall’Unità d’Italia, nel 1891, Pellegrino Artusi pubblica La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, una raccolta che per la prima volta comprende ricette provenienti da ogni regione. Nell’introduzione, il gastronomo Italiano riflette domandosi:
«Perché, chi gode vedendo un bel quadro è reputato superiore a chi gode mangiando un’eccellente vivanda?».
Artusi coglie del cibo l’aspetto materiale e immateriale.
Non a caso, l’Unesco ha accolto la candidatura per riconoscere la cucina italiana come Patrimonio immateriale dell’Umanità. Un bene da promuovere e proteggere.
Raccontare la cucina italiana
Questo patrimonio ha bisogno di persone preparate che sappiano raccontarlo nel modo migliore, in Italia e all’estero.
Per questa ragione il food writing dovrebbe diventare materia di insegnamento all’università. Nel nostro paese c’è un certo ritardo nel riconoscimento del suo valore come disciplina volta a formare giornalisti, divulgatori e storici.
A prescindere dal riconoscimento Unesco, le donne e gli immigrati che, nei secoli, hanno contribuito a formare questa preziosa eredità, meritano di essere finalmente raccontati e, se possibile, ascoltati da giornalisti e storici capaci di cogliere il senso del luogo e del tempo, leggere gli aspetti socio-culturali e costruire una cornice storica accogliente verso queste storie dimenticate. La storia orale si arricchirebbe di nuove pagine inedite.
Cucina Italiana, cucina di casa e il profumo della sfoglia
La cucina italiana significa soprattutto cucina di casa.
Se nel Medioevo fossi entrato in una osteria, avresti trovato un bicchiere di vino ma per il mangiare dovevi pensarci tu portandolo da casa. All’osteria del Sole di Vicolo Ranocchi a Bologna è ancora così.
Nella nostra personale geografia sentimentale, i profumi sono una bussola che orienta il ricordo. L’olfatto socchiude la porta della cucina e tra pentole e fornelli prende forma una sequenza di memorie indelebili. Oltre ad avere un valore affettivo per ognuno di noi, sono preziose anche per narrare le vicende di una comunità e, in definitiva, dell’Italia.
La sfoglia che le donne della mia famiglia tiravano sul tagliere con il matterello ha un profumo che non posso dimenticare. E una storia che non mi stanco mai di raccontare.
A quell’epoca i bambini non stavano davanti a uno schermo per ore.
Giocavano o conquistavano silenziosi un angolo della cucina, la stanza calamita della casa, quella più calda e accogliente dove un incessante lavorio produceva odori preannuncianti capolavori di gastronomia domestica.
Negli anni Settanta, tra un soffritto e una sfoglia ho costruito ricordi e raccolto aneddoti.
Sei d’accordo anche tu che è tempo di dare voce e valore storico ai racconti ancora confinati tra le mura delle cucine? Prima che sia troppo tardi, quelle testimonianze dovrebbero confluire in un poderoso progetto di storia orale.
I triangoli ripieni
Imparare a fare la sfoglia è una conquista degli ultimi anni.
Ad un certo punto della mia vita ho sentito l’urgenza di recuperare una parte importante della mia eredità. Così ho seguito un corso per riappropriarmi dei gesti delle azdore.
Da quel momento ho ripreso confidenza con abitudini che fanno parte della mia cultura familiare, regionale e nazionale.
Farina, uova, tagliere e matterello: questa è la sfoglia emiliano-romagnola.
La mia non è una sfoglia perfetta. Mi piace pensarmi come una sfoglina occasionale.
Una volta la settimana, di solito la domenica pomeriggio, faccio la pasta fresca.
Oltre alla sfoglia gialla, ho impastato uova e farina con ortiche, spinaci, piselli, rapa rossa e prezzemolo.
Ho preparato tagliatelle con farina di castagne, tagliolini di grano saraceno, strozzapreti, tortellini, cappelletti, balanzoni, lasagne verdi e gialle, garganelli, strichetti, tortelli, maltagliati, triangoli.
I triangoli ripieni di lesso di gallina avvolti in una sfoglia al prezzemolo, effetto maculato, sono l’ultimo tra i miei esperimenti culinari.
Puoi condirli con burro e salvia, io invece ho osato e optato per una salsa di soia e sciroppo d’acero. Se mi dai fiducia e provi, l’abbinamento ti stupirà. Piacevolmente, spero.
Buona cucina (italiana e di casa), Monica
Ho scritto di cucina e identità anche nel post dedicato al brodo di fagioli.
Triangoli ripieni e sfoglia al prezzemolo
per 4 persone
Lista degli Ingredienti
per la sfoglia
3 uova
300 g farina 00
2 cucchiai di prezzemolo tritato, circa 20 g
Ripieno
coscia e sovra coscia di gallina, 1
carota, 1
cipolla, 1
alloro, 2-3 foglie
acqua, 1 litro abbondante
sale grosso
ricotta di mucca, circa 120 g
Parmigiano grattugiato, 30 g
Per condire
salsa di soia senza sale, 5-6 cucchiai generosi
sciroppo d’acero, 2 cucchiai generosi
burro e olio d’oliva q.b.
acqua di cottura della pasta, 1 o 2 mestolini
Procedimento
Ripieno
Prepara la pentola del brodo: sistema la gallina con cipolla intera ma sbucciata, una carota e alloro. Copri con acqua fredda, aggiungi del sale grosso come per salare la pasta.
Metti il tegame su un fornello piccolo, porta a bollore, abbassa la fiamma e copri quasi del tutto il tegame con un coperchio, cuoci per circa un’ora.
Togli gallina e verdure dal brodo (filtra e metti da parte per altre preparazioni).
Elimina la pelle della gallina e sminuzza a coltello la carne dopo avere eliminato le ossa.
Trita anche mezza carota e 1/3 della cipolla, usa quelle che hanno cotto con la gallina.
Unisci alla carne e trita finemente a coltello tutto insieme.
Trasferisci in una ciotola, aggiungi Parmigiano e ricotta, mescola e metti il ripieno a riposare in frigorifero.
Sfoglia
Versa la farina sul tagliere e forma un cratere al centro dove metterai prezzemolo e uova. Inizia a mescolare con una forchetta e poi con le mani.
Lascia riposare l’impasto coperto, fuori frigorifero, per circa 30 minuti.
Stendi una sfoglia sottile, con il matterello o con la macchinetta, e ricava dei quadrati di circa 4 cm di lato.
Farcisci e chiudi a triangolo.
Triangoli ripieni conditi
In una padella larga, sciogli 100 g di burro con un paio di cucchiai di olio, aggiungi salsa di soia e sciroppo d’acero mescolando.
Cuoci i triangoli in acqua bollente salata. Con un mestolo forato trasferisci i triangoli ripieni nella padella e condisci delicatamente. Se serve, aggiungi poca acqua di cottura della pasta per rendere la salsa più cremosa.