Quando si parla di piadina romagnola si dovrebbe usare il plurale.
C’è quella alta e un po’ tozza, quella larga e sottile e la sfogliata.
Tre modelli diversi che appartengono ad altrettante zone della Romagna.
Piadina romagnola: le varietà.
Tra le piadine c’è quella lievitata, il tipo chiamato Bertinoro. Tipica delle province di Forlì- Cesena e di Ravenna.
Bertinoro è un paese in collina, in provincia di Forlì, dove si trova la famosa Ca’ de Be’ -Casa del Vino, una enoteca basata su piadina e Sangiovese e che rappresenta idealmente la casa della Romagna.
Il modello alla riminese, larga e sottile, è quella della riviera romagnola che trovi da Rimini a Cattolica (e anche oltre, nelle Marche fino a Pesaro).
Infine c’è ancora chi porta avanti la tradizione della piadina romagnola sfogliata che, al giorno d’oggi, è tipica soprattutto dell’area Romagna-Marchigiana.
Tra le versioni che storicamente sono associate alla famiglia delle piadine c’è anche la piê fritta (piadina fritta o crescentina nel bolognese), impasto e forma classici della piadina ma cotte nell’olio bollente. QUI trovi la ricetta per fare le crescentine.
Sempre della stessa famiglia fa parte anche il crescione o cassone. Nella zona di Imola lo trovi anche come calzone. In origine si riempiva solo con le erbe e un po’ di ricotta.
La piadina è un prodotto IGP. Per essere vera piadina romagnola deve essere prodotta in Romagna. Nessuna azienda, fuori dal territorio d’origine, può produrre e commercializzare un prodotto che nel nome abbia riferimenti alla Romagna.
Nel 1959, a San Martino in Strada (provincia di Forlì), nasce “la piadina romagnola di Lorella”, la prima azienda di produzione artigianale e industriale della piadina.
La storia della piadina
La piadina che a inizio Novecento è celebrata dal poeta italiano Giovanni Pascoli, quella che preparava sua sorella Maria, era ancora sconosciuta alla maggior parte dei romagnoli.
A quel tempo la maggior parte di loro associava alla piada, quando la conoscevano visto che non era diffusa ovunque come oggi, sapori diversi da quello della farina bianca e dello strutto.
E, a volte, uova e zucchero che si usavano per rendere speciale l’impasto.
La diffusione della piadina è storia recente e, pensa, successiva alla metà degli anni Cinquanta quando il boom economico, dopo la fine della guerra, trasforma un cibo poverissimo e, diciamolo, spesso disgustoso, nella piadina di farina di grano, profumata e irresistibile che conosciamo tutti.
Da quel momento la piada diventa piadina, che è un diminutivo. Invece il piadone, un superlativo, resta a indicare una piada fatta con ingredienti scadenti e, pian piano, viene – dimenticato. Per fortuna, segno che la miseria era finita.
Come accompagnare la piadina romagnola, quella alta
Come se fosse pane. Servi la piadina tagliata a spicchi e porta in tavola nel cestino del pane.
Questa piadina è perfetta per accompagnare carne, pesce e verdure alla griglia.
La mia piadina preferita resta quella che nonna appoggiava sulla carne alla griglia, quasi cotta, per assorbire l’aroma di pancetta e salsiccia. Noi bambini impazzivamo per quel boccone!
Uno degli abbinamenti più tipici, e apprezzati, è la piadina con salsiccia e cipolla caramellata.
La piadina alta si sposa bene con un altro piatto della tradizione romagnola: l’insalata autunnale di radicchio e bruciatini.
E, in generale, secondo me, sta bene con insalate rustiche come tonno, fagioli e cipolla.
Ma anche con una caprese profumata. Naturalmente puoi servirla con salumi e formaggi anche se, forse, con i salumi preferisco la piadina sottile, quella di Rimini.
Piada di Rimini
QUI trovi le ricette per fare la piadina alla riminese con strutto, ricetta di Maddalena Fellini (sorella del grande regista) e all’olio d’oliva.
Buona cucina, Monica
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Consiglio
Puoi fare un’ottima piadina romagnola usando farine diverse dalla 0.
Ricetta della Piadina romagnola, versione lievitata
per 4-5 persone
Ingredienti
500 g farina 0 o tipo 1
80g strutto oppure 60g di olio d’oliva
sale fino, 7g
bicarbonato 3g
acqua tiepida, circa 300-350ml (dipende da quanta acqua assorbe la farina)
Nella zona di Imola, dove sono nata e cresciuta, si usa il latte
Procedimento
In una ciotola mescola la farina con il lievito, al centro forma un cratere dove metterai lo strutto morbido o l’olio d’oliva. Sui bordi spolvera il sale.
Inizia a versare l’acqua poco alla volta e mescola con la farina.
Sposta l’impasto su un ripiano pulito e usa le mani per ottenere una pasta morbida ma non appiccicosa.
Poi forma tante palline di uguale peso da circa 130g l’uno.
Lascia riposare l’impasto per 30 minuti coprendo con un canovaccio pulito.
Non è una vera lievitazione ma un riposo (anche se le piadine in cottura un po’ lieviteranno).
Su un tagliere, usando un matterello corto (non quello lungo da sfoglia), stendi la piadina non troppo sottile fino a ottenere un disco di diametro di 15cm.
Per cuocere la piadina usa una teglia di metallo antiaderente.
Cuoci una piadina alla volta sul testo già caldo, bucherella con i rebbi di una forchetta per evitare che faccia le bolle e cuoci per 3 minuti circa prima di girare la piadina, forare di nuovo, e cuocere altri 3 minuti circa.
Prepara un canovaccio pulito per avvolgere le piadine e tenerle al caldo mentre cuoci le altre.
Se non le consumi subito, puoi conservare per alcuni giorni in frigorifero o surgelare.
Storia e origini della piadina romagnola.
Con i suoi quasi cinque secoli di storia, la piadina ha molto da raccontare.
Della storia dell’uomo in generale e di un territorio specifico, la Romagna.
Come tutti i pani azzimi, ha origini antichissime e comuni a molte culture.
Ma in assenza di fonti, gli storici considerano poco probabile la relazione tra la piadina romagnola e le versioni più antiche, la bizantina o la mensa romana (una focaccia di cereali utilizzata come piatto).
Di certo, la piada è una focaccia conosciuta in Romagna sin dal Medioevo. E questa, oltre alla certezza che anche quella medievale non era la piadina che mangiamo oggi, è tra le poche notizie certe sulla piadina.
Pensa che quando nel 1909 Pascoli definisce la piadina “pane nazionale dei Romagnoli” in realtà non era diffusa in tutta la Romagna. Nel 1932 Eugenio Cavazzuti, intellettuale romagnolo di Alfonsine (RA), scriveva che “a nord di Ravenna è pressoché sconosciuta, per lo meno nei comuni di Alfonsine, Fusignano, e Bagnacavallo, ed anche altri”.
A complicare le cose ha concorso la stessa etimologia della parola piadina: in Romagna la parola piè o piê non aveva e non ha un solo significato. Mica per niente, questa parola indicava anche focacce, dolci o salate, lievitate, con o senza uova, fritte o cotte al forno.
La piada prima della piadina.
Per secoli non abbiamo notizie attendibili su questa ricetta.
Possiamo solo immaginare che si facesse un impasto azzimo, come ovunque nel mondo, e che da quella strada, secolo dopo secolo, sia nata la piadina.
La prima citazione documentata di un cibo chiamato “piada” risale al XIV secolo (Descriptio Romandiole, 1371, statistiche-censimento fatta redigere a fini fiscali da Papa Urbano V). E comunque si trattava di focacce molto grandi, lievitate e probabilmente condite con lardo, più simili a quelle che oggi conosciamo come “spianate”.
Nel corso del tempo, e per buona parte del Novecento, la parola piada comprende un ampio ventaglio di focacce e schiacciate di tanti tipi diversi: lievitate e azzime, condite o scondite, cotte in modi diversi (anche sulla graticola o sotto la cenere).
E, soprattutto, si trattava di un pane fatto con farine povere di cereali inferiori, tritello, castagne, fave, fagioli, cicerchie. In caso di carestia si usavano anche ghiande, crusca e perfino segatura. Era un cibo povero e, diciamolo pure, persino disgustoso.
Artusi non inserisce questa ricetta nel suo L’arte di mangiar bene del 1891 e neppure nelle edizioni successive.
Nel 1572 il medico naturalista riminese Costanzo Felici, in un catalogo ragionato sulle piante commestibili, scrivendo del grano e dei vari tipi di pane, fa riferimento a un tipo di piadina, che poi diventerà la nostra, e menziona anche la piada sfogliata, quella che a Pesaro e Urbino chiamano crescia.
Nel 1622 Giacomo Antonio Pedroni, sacerdote di Sant’Arcangelo divenuto canonico nella cattedrale di Rimini, in riferimento alla carestia e del rincaro dei prezzi delle derrate alimentari, annotava che molte persone potevano nutrirsi solo di piadine preparate con sarmenti (tralci di vite) e fave.
Due secoli dopo, nel testo del 1818 del forlivese Placucci su usi e costumi dei contadini di Romagna, non si parla ancora della piadina.
Cibo per i più poveri fino agli Cinquanta del Novecento.
Nel corso dell’Ottocento la massiccia diffusione del mais rilancia la piadina fatta con il “formentone” (farina di mais) mescolata con altro (ghiande, ad esempio).
Ne l’“Inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola” condotta tra il 1876-1881 in tutta Italia, da poco diventata nazione unitaria, si parla di due piadine. Nella monografia relativa alla zona di Cesena, Federico Masi nel 1879 dopo uno sbrigativo accenno alla versione contadina, parla della versione più ricca che compare solo sulla tavola delle feste della gente ricca.
Piadina e pellagra andranno a braccetto ancora per molto tempo.
In una inchiesta sanitaria del 1899 sulle malattie da sotto e mono alimentazione, gli ufficiali sanitari di diversi comuni scrivono che schiacciate, focacce e piade fatte di mais, cotte sul ferro, spesso crude dentro, sono la dieta quotidiana dei contadini e dei poveri.
Da indagini successive condotte ancora tra il 1940 e il 1952 sulle abitudini alimentari delle popolazioni rurali, emerge che in Romagna ci sono ancora numerose sacche di povertà e che la piada è ancora di formentone o, al più, arméscli (mescolate con altro).
Ma è in quegli stessi anni che la piadina inizia a diffondersi in tutta la Romagna, diventando in breve tempo il pane dei romagnoli che oggi tutti apprezziamo.